sabato, gennaio 02, 2010

La notte di Natale è stata l'ultima per tanti disperati

TUTTI ZITTI PER FAVORE
altrimenti disturbate il manovratore
però qualcuno non sa tacere ma non parla
perché le parole sono spazzate via dal vento della controinformazione
e preferisce mettere
NERO SU BIANCO

Portopalo di Capo Passero
 di
Anna Foti

La strage di Natale e il segreto di Portopalo




La notte di Natale più buia della Piccola Storia, quella più dimenticata, quella più scomoda, quella più mistificata e divorata dall’indifferenza delle autorità politiche, quella più ripudiata dall’attenzione che ormai non ha più cura della memoria.
Quella pagina di storia che Dino Frisullo definì in un suo articolo sul Manifesto del 20 giugno 2001, “scritta, loro malgrado, da poveri naufraghi”.
E’la notte della sciagura che travolse quasi trecento uomini asiatici che attraversavano il Canale di Sicilia tra il 25 e il 26 dicembre 1996, prima che di fronte a Portopalo di Capo Passero, il comune più a Sud dell’Isola siciliana in provincia di Siracusa, il battello F174 affondasse inesorabilmente, rimanendo ancora oggi un relitto a 19 miglia al largo della località siracusana.
Qualcuno li ha chiamati i clandestini della coscienza, quasi trecento uomini, provenienti da India, Pakistan e Sri Lanka, che non sopravvissero alle acque tra l’isola di Malta e la Sicilia, al cospetto di un paese come l’Italia più volte richiamato dalle Istituzioni europee per il trattamento dei cittadini stranieri irregolari e per le procedure di rimpatrio.
Uno dei tanti viaggi disperati.
Il viaggio disperato finito in tragedia per 283 esseri umani.
Quasi trecento vite inghiottite dal mare Mediterraneo.
Erano partiti in 450 sull’imbarcazione Yiohan, di armatore greco con ciurma siriana, con al comando il libanese Youssef El Hallal.
Quella notte del 1996, durante il tragitto nel canale di Sicilia, la vecchia motonave polacca costruita nel 1964, si fermò in mezzo al mare.
Da Malta arrivò dopo alcune ore il ferry boat F 174 sul quale si precipitarono trecento immigrati estenuati dall’attesa e da giorni di viaggio.
 Il mare era molto agitato.
 La nave maltese non resse il carico e, speronata dall’ammiraglia Yiohan, affondò con trecento vite a bordo.
 Per anni non si credette alla “strage di Natale” raccontata dai superstiti, fino al ritrovamento di una carta di identità e all’individuazione del relitto nel 2001.
Poi l’appello dei quattro premi Nobel, Rita Levi Montalcini, Renato Dulbecco, Carlo Rubbia e Dario Fo per il recupero dei corpi.
Brandelli di verità strappati da un manto di indifferenza e deplorevole indolenza.
Un naufragio di serie b perché a naufragare erano stati cittadini stranieri e poveri.
 Un naufragio tollerato e coperto dai governi.
Il comandante libanese avrebbe dichiarato anni dopo di essere ripartito dal luogo dell’affondamento verso il Peloponneso a bordo della Yiohan, con oltre un centinaio di immigrati sopravvissuti, e di avere ricevuto delle coperture per giungere poi con l’equipaggio fino in Turchia.
Dopo oltre un decennio di impunità e l’assoluzione in primo grado nel processo a Siracusa, nel marzo del 2009, la Corte d’Assise di Appello di Catania condanna per omicidio volontario plurimo l’imputato, l’armatore pakistano Sheik Thourab, a trenta anni di reclusione e dispone anche il risarcimento di ciascuna famiglia delle vittime.
La sentenza è stata confermata dalla Cassazione alcune settimane fa.
L’anno prima, nel 2008, dopo essere stato dichiarato latitante nel 2002 e dopo essere stato estradato dalla Francia nel 2003, era già stato condannato a trenta anni di carcere il capitano della nave, il libanese Youssef El Hallal.
La più grande tragedia consumatasi nelle acque del Mediterraneo dal secondo Dopoguerra ad oggi, rimasta impunita fino a dodici anni dopo.
Pervicace la tenacia del giornalista di Repubblica Giovanni Maria Bellu, autore del libro
“I fantasmi di Portopalo” ( Mondatori, 2004);
ostinata la resistenza delle famiglie, guidate dall’anziano padre di una vittima, Zabiullah, che favorirono l’emersione di un meccanismo imprenditoriale criminale, di una catena del traffico di esseri umani con testa turca e armatori greci, con punti logistici in Egitto, Siria e Turchia, che dai villaggi del Kurdistan, del Pakistan e dell’India fino all’Italia “organizzava i viaggi”, mercificando la disperazione e la fuga dalla miseria di esseri umani in cerca di sopravvivenza e di diritti.
Sono stati in pochi e soli coloro che non hanno creduto ad una nave fantasma, mai esistita piuttosto che improvvisamente scomparsa in acque internazionali;
pochi e soli coloro che hanno continuato a chiedere che i corpi, quelli riemersi e che i pescatori ributtavano in mare e quelli ancora oggi sepolti accanto al relitto, fossero recuperati.
Sono sempre in pochi quelli che rivendicano il diritto alla verità.


1 commento:

Blogger ha detto...

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