mercoledì, settembre 30, 2009

Risvolti psicologici di un noto personaggio nostrano


BONSAI

di

SEBASTIANO MESSINA

IL REPERTO

Durante il discorso di chiusura della festa nazionale del PDL,

Silvio Berlusconi ha tirato fuori un foglietto e ha letto quello che viene definito

“un reperto archeologico”,

un vecchio discorso dedicato ai suoi oppositori.

“Hanno cambiato nome ma sono i comunisti di sempre.

Sono gli adoratori di dittatori sanguinari come Stalin, Mao e Pot Pot”.

Parole, ha spiegato, che furono pronunciate il 26 gennaio1994

(data leggendaria della sua discesa in campo)

E che valgono ancora oggi.

Ora, l’idea che Dario Franceschini o Antonio Di Pietro siano gli eredi politici di Pot Pot fa ridere.

Ma il fatto che Berlusconi sia rimasto lo stesso del 1994, e non sappia dire nulla di diverso da ciò

che era falso già allora, ci fa solo pensare che il

“reperto archeologico”

in realtà sia lui, e che noi siamo invecchiati di 15 anni, otto mesi e un giorno.

Inutilmente.

Il solito sproloquio di questo personaggio negativo che sta facendo di tutto

per eguagliare qualcuno dei personaggi storici da lui citati.

L’nvidia è un brutto male, catalogato dalla Chiesa come uno dei sette “vizi capitali”.

Ma lui lo sa e molto in tal senso l’ha già fatto.

Nella sua discesa in politica, mettiamola così anche se non era sua intensione fare il “politico”

ma di salvaguardare i suoi stessi interessi una volta perso il suo “nume tutelare”.

La sua immagine apparve in tutta l’Italia, anche nei punti più remoti,

e dei suoi candidati nemmeno l’ombra non dico di una foto ma nemmeno un’immaginetta !

Un vero e proprio culto della personalità di staliniana memoria.

Altro che piazza Rossa di Mosca; volle un suo manifesto in ogni cantone e così fu.

Caratteristica dell’invidioso, dicono gli esperti in psicologia, soffrono di un forte complesso di inferiorità che spinge un soggetto a denigrare l’invidiato, sì da farlo apparire un essere da eliminare da ogni contesto sociale.

Beh, nel nostro caso, pare che ci abbiano azzeccato !

La vita del sig. B - 13

SILVIO STORY

13

Alla guerra delle televisioni senza legge ma con Craxi

di

Claudia Fusani

Tra il 1974 e il 1990 in Italia c’è stata una rivoluzione culturale ed è stata combattuta una guerra sporca

i cui effetti vediamo, e in parte paghiamo, soprattutto adesso.

La rivoluzione - l’avvento e, in pochissimi anni, il predominio della tivù commerciale – era nell’aria,

bisognava avere il naso per annusarla e l’umiltà per governarla.

Silvio Berlusconi ha avuto entrambe queste doti, oltre alla innata propensione per tutto ciò che è commercio, pubblicità e guadagni.

Ma poi ha combattuto una guerra sporca che ha vinto solo perché ha avuto un alleato come Bettino Craxi.

E disponibilità economiche precluse ai suoi diretti concorrenti, come Rusconi e Mondadori.
Occorre fissare alcune date.

Il 10 luglio 1974 la Corte Costituzionale decide (sentenza 226)

“la libertà d’intrapresa delle tivù in ambito locale via cavo”.

Due anni dopo (28 luglio 1976) la tivù locale può trasmettere anche “via etere” ma sono vietati “monopoli o oligopoli privati”.

Il Parlamento, avverte la Consulta,

“dovrà comunque disciplinare l’intera materia perché l’etere è un bene collettivo”.

Periodicamente, nei sedici successivi anni, la Corte si pronuncerà altre tre volte nello stesso modo invocando una legge.

Quando arriverà, la legge renderà legittimo quello che era illegittimo.
Intorno alla metà degli anni settanta in Italia ci sono Rai 1 e Rai 2, appaltate alla Dc e al Psi di Craxi, con il Pci che chiede

“la fine della discriminazione anticomunista”,

e 434 tivù private.

Tra queste Telemilano 58, nata nel settembre 1978 in due locali del Jolly Hotel di Milano 2.

È l’embrione di Canale 5.

Impegnato tra i cantieri delle sue new town intorno a Milano, corteggiato e sedotto da Licio Gelli, amico intimo di Craxi e nelle grazie delle banche,

l’imprenditore edile Silvio Berlusconi comincia ad essere stufo di mattoni e licenze edilizie.

Anche perché il mercato è quello che è e i fatturati tentennano.

Ripensa, così, al suo primo amore, la pubblicità, e capisce che il matrimonio con il mercato delle tivù private sarebbe felicissimo oltre che assai vantaggioso.

Anche perché la Rai sa offrire poco a chi vuol fare pubblicità – entrare nel Carosello è impresa da titani – sia per lo spazio

(la legge stabilisce un tetto massimo) che per la qualità.

Il mercato invece è lì che bussa: un formaggio dove il topo-Berlusconi s’infila beato.
Il marchio Canale 5 Music è registrato il 2 novembre 1979.

Poi nascono – o vengono comprate – Reteitalia, Publitalia e Elettronica Industriale.

L’intuizione di Berlusconi è capire che se il futuro è delle tivù private, quella tivù deve essere autonoma da tutto e in grado di autoalimentarsi

per la pubblicità, dal punto di vista tecnico, soprattutto per i palinsesti e la programmazione, la vera identità delle rete.

“Una tivù al servizio delle merci”

l’ha definita Giuseppe Fiori.

“Io non vendo spazi, vendo vendite”

ripete Berlusconi come un mantra ai venditori di Publitalia, la concessionaria di pubblicità.

Mentre Reteitalia acquista film, telefilm, serial, format di quiz e sit-com, Publitalia arruola venditori istruiti ad essere “sorridenti”, “positivi”,

né barba né baffi né capelli lunghi, giacca e cravatta,

“guai alle mani sudate”

e

“mai mangiare aglio prima di stare in pubblico”.

Se l’italiano medio da homo sapiens sta diventando homo videns, Publitalia è l’incubatrice di quello che sarà poi l homo berlusconianus, quello di Forza Italia, quello che arriverà in Parlamento e al governo “col sole in tasca”, per usare un motto della casa.
Per essere autonoma la tivù privata e commerciale deve avere trasmettitori in tutto il paese capaci di ricevere e rilanciare segnali tivù.

Per riuscirci, Berlusconi acquista Elettronica Industriale, piccola azienda di Lissone che produce apparati di ricezione e ripetizione.

I proprietari si chiamano Adriano Galliani e Italo Riccio.

E’ Galliani che in poche settimane acquista bande libere e tivù private già operanti dalla Sicilia alla Valle d’Aosta.
In meno di un anno, nella totale indifferenza, prende forma lo scheletro del primo network alternativo alla Rai.

La Consulta lo ha vietato, ma il Parlamento non legifera.

Nell’incertezza gli altri principali operatori – Rizzoli, Rusconi e Mondadori – si attengono agli ambiti locali pur comprando piccole tivù private

perché credono che il Parlamento andrà in questa direzione.

Berlusconi, invece, punta al network, il contrario del dettato della Consulta.

Dalla sua ha i rubinetti sempre aperti delle banche e l’intima amicizia con Craxi che nel 1983

diventerà presidente del Consiglio e perno del Caf.

13/segue

lunedì, settembre 28, 2009

La vita del sig. B - 12

Oggi doppia storia in quanto sto partendo per il ritorno al sole del nord dopo 10 giorni di piogge e vento nel nostro estremo sud..

Un viaggio lungo che terminerà domani a tarda sera , ma tutto dipenderà dalle condizioni del mare.

***

SILVIO STORY

12

I PENTITI:

«A Riina 200 milioni l’anno per le antenne di Canale 5»

di

Claudia Fusani

Come e perchè Mangano venga assunto ad Arcore è faccenda che si spiega solo anni dopo.

Dopo che diventa ufficiale il pedegree criminale del boss di Porta Nuova.

E dopo che Dell'Utri finisce sotto processo a Palermo per mafiosità.

Racconterà Mangano ai giudici di Palermo:

«Tra il '73 e il '74 Cinà (Gaetano) e Dell'Utri vennero a trovarmi a Palermo, mi proposero un lavoro ad Arcore dove un loro amico aveva acquistato una proprietà. Prima di trasferirmi con la mia famiglia andai negli uffici della Edilnord (l'impresa immobiliare di Berlusconi) al numero 24 di Foro Bonaparte e incontrai i signori Berlusconi e Dell'Utri».

Tutto giusto, manca solo un dettaglio:

con Mangano alla Edilnord quel giorno si presentano anche i boss Francesco Di Carlo, Mimmo Teresi e Stefano Bontade, all’epoca il Capo di Cosa Nostra nonchè fratello massone.

Un incontro raccontato nei particolari da Di Carlo una volta pentito:

«Fu un colloquio in cui vennero discusse e decise reciproche disponibilità.

Volto a garantire a Berlusconi e alla sua famiglia una protezione dai rapimenti.

Il colloquio fu favorito da Cinà, amico di Dell’Utri».

E’ un passaggio, questo, da segnalare con cura anche perchè, in modi diversi, è confernato dallo stesso Berlusconi in un’intervista al Corriere della Sera nel 1994, una delle poche volte in cui il premier ha accettato di parlare di mafia:

«Rapporti con la mafia ne ho avuti una volta sola, quando tentarono di rapire mio figlio Pier Silvio che allora aveva cinque anni...».

Fatti due conti - Pier Silvio compie sei anni il 28 aprile 1974 - la minaccia di rapimento precede l’arrivo di Mangano ad Arcore.

La domanda è un’altra:

Mangano è imposto dalla mafia - per il tramite di Cinà e Dell’Utri - per controllare i traffici di Cosa Nostra al nord offrendo in cambio di una protezione?

Oppure, come ha sempre sostenuto Berlusconi, viene ingaggiato solo come guardiaspalle privato visti i rischi di quegli anni?

Sembra improbabile che Silvio non conoscesse il profilo criminale di chi stava per far entrare in casa sua.

Dirà Paolo Borsellino a Canal Plus, la sua ultima intervista prima di morire (19 maggio 1992):

«Buscetta e Contorno hanno indicato lo stalliere di Arcore come uomo d’onore di Cosa Nostra.

Viveva a Milano ed era il terminale al nord dei traffici di droga delle famiglie palermitane (...).

All’inizio degli anni Settanta Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa e a gestire una massa enorme di capitali per i quali cercava una sbocco al nord, sia dal punto di vista del riciclaggio sia dal punto di vista di far fruttare questo denaro. Mangano era una delle teste di ponte dell’organizzazione mafiosa nel Nord Italia».

Chiarito chi era Mangano
, torniamo ad Arcore.

Il neo assunto, un signore alto, tratti mediorientali, a suo modo distinto, prende servizio il primo luglio 1974, ha 34 anni, con lui la moglie Marianna e la figlia di 10 anni.

Seguono mesi "tranquilli".

Fino al 26 giugno 1975 quando una bomba esplode contro il cancello e il muro di cinta di villa Borletti in via Rovani.

Berlusconi sospetta subito dello stalliere, come rivelerà un’intercettazione del 1986. Ma fa finta di nulla, anzi declassa l’esplosione a un crollo.

Più imbarazzante è il sequestro (8 dicembre 1975) del principe di Santagata prelevato all’uscita della villa dove era stato a cena.

Il sequestrato si libera, i carabinieri indagano ma nessuno dice loro che nella tenuta vive anche Mangano.

Il quale resta a servizio fino al 1976.

I giornali cominciano a scrivere della sua presenza che diventa ingombrante. Mangano lascia Villa San Martino nel 1976.

Un anno dopo se ne va anche Dell’Utri assunto come dirigente del finanziere siciliano Bruno Rapisarda che gestisce alcune aziende, poi fallite, che riciclano denaro di Cosa Nostra.

Spiegherà in seguito Rapisarda:

«Alberto e Marcello Dell’Utri mi furono raccomandati da Gaetano Cinà che rappresentava gli interessi di Bontade-Teresi e Marchese.

Dell’Utri mi disse che la sua mediazione era servita a ridurre le richieste di denaro a Berlusconi da parte dei mafiosi».

Gli atti del processo Dell’Utri illustrano i rapporti del senatore con Cosa Nostra. Dell’Utri torna con Berlusconi nel 1980, ai vertici di Publitalia.

Nel frattempo, come testimoniano decine di intercettazioni, non interrompe mai le frequentazioni con Mangano.

Trentasette ex mafiosi hanno testimoniato che Dell’Utri è stato il principale contatto della mafia con l’impero finanziario di Berlusconi.

Lo confermano prove documentali.
Altre dichiarazioni di pentiti, da Cancemi a Brusca passando per Siino, Cucuzza, Cannella e Pennino, tutte pubbliche, raccontano dei rapporti diretti tra Fininvest e Cosa Nostra.

Nell’interrogatorio del 18 febbraio 1994 il boss di Porta Nuova Salvatore Cancemi spiega:

«Nella villa di Arcore hanno trovato riparo latitanti come Nino Grado, Mafara e Contorno (...)

Nel 1991 Riina precisò che, secondo gli accordi stabiliti con Dell’Utri che faceva da emissario per conto di Berlusconi, arrivavano a Riina 200 milioni l’anno in più rate in quanto erano dislocate a Palermo più antenne (...)

Il rapporto risaliva almeno al 1989 e più volte ho assistito alle consegne di questo denaro in rate da circa 40-50 milioni».

Anche Giovanni Brusca (21 settembre 1999) racconta che

«dagli anni ottanta Ignazio Pullarà, boss di Santa Maria del Gesù, a Berlusconi e a Canale 5 gli faceva uscire i piccioli».

Sono gli anni della guerra delle tivù e di antenna selvaggia.

Dichiarazioni che non hanno mai raggiunto lo spessore della prova.
Nel 2002 il Tribunale di Palermo che processa Dell’Utri e Cinà si trasferisce a Roma per sentire il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.

Prende la parola l’onorevole-avvocato Niccolò Ghedini:

«Abbiamo indicato al Presidente Berlusconi l’opportunità di avvalersi della facoltà di non rispondere».

12-continua

La vita del sig. B - 11

SILVIO STORY

11

LE RELAZIONI PERICOLOSE

di

Claudia Fusani.

Vittorio & Marcello, il guru di Publitalia e lo stalliere di Arcore, il senatore fondatore di Forza Italia e il boss che numerosi pentiti hanno indicato come il cassiere di Cosa Nostra, l’erede di Pippo Calò.

Marcello Dell’Utri e Vittorio Mangano, le amicizie pericolose di Silvio Berlusconi eppure coltivate e mai rinnegate dal Cavaliere.

Un intreccio così complesso e scivoloso che occorre sapere a che punto è adesso la storia prima di raccontarla dall’inizio.

La situazione dell’amicizia oggi è questa:

Mangano è morto a 60 anni il 23 luglio 2000 agli arresti domiciliari, scontando una condanna all’ergastolo per un duplice omicidio, associazione mafiosa, traffico di droga e estorsione;

Marcello Dell’Utri è stato condannato in primo grado l’11 aprile 2004 (un dibattimento lungo sette anni) a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, una condanna che si somma a quella per false fatture e frode fiscale (2 anni e 3 mesi) quando era amministatore delegato di Publitalia.

E’stato dichiarato precritto il procedimento per minaccia con il boss Virga ed è da pochi giorni che è iniziato il processo in grado s’appello e tra breve ci sarà la sentenza di secondo grado per mafia.

Berlusconi non ha a che fare con tutto ciò.

Tirando il filo di Dell’Utri, sono stati entrambi indagati, prima a Firenze (Autore 1 e Autore 2) poi a Caltanissetta (Alfa e Beta) per concorso esterno nelle stragi di mafia del 1993 (Firenze, Roma e Milano).

Alcuni pentiti chiave li hanno chiamati in causa come mandanti politici delle stragi. Ma entrambe le inchieste sono state archiviate perchè le prove erano «insufficienti» e le dichiarazioni dei pentiti «senza riscontro».

Disavventure che non possono certo intaccare un’amicizia e un sodalizio che comincia a Milano alla fine degli anni cinquanta.

Otto anni dopo la morte di Mangano, Berlusconi e Dell’Utri, hanno detto che «Mangano a suo modo è stato un eroe» perché pur malato terminale di tumore «si è rifiutato di inventare dichiarazioni (contro Berlusconi o lo stesso Dell'Utri, ndr) nonostante i benefici che ciò avrebbe potuto portargli».

Una rivendicazione postuma e non richiesta.

Marcello e Silvio s’incontrano la prima volta nel chiostro del collegio Torrescalla a Milano nel 1961, matricola in arrivo da Palermo il primo, laureando il secondo. Un’amicizia benedetta dall’Opus Dei e dal dio pallone.

La prima cosa che fanno insieme è proprio una squadra di calcio, la Torrescalla-Edilnord, Marcello allena, Silvio fa - manco a dirlo - il presidente, Paolo Berlusconi allena.

Solo di recente, nel processo di Palermo, è saltato fuori che il giovane Marcello, neo laureato in legge, è stato impiegato della Edilnord ai tempi di Brugherio (1964-1965) con la qualifica di «segretario del presidente Berlusconi».

Un particolare sempre omesso che invece per i giudici assume significato perchè «negli anni Settanta e Ottanta la banca Rasini (il primo finanziatore di Berlusconi, ndr) è stata crocevia di interessi della malavita milanese e di Cosa Nostra».

Dell’Utri si sposta per tre anni a Roma (dal ‘65 al ‘67) come direttore sportivo del Centro Ellis dell’Opus Dei e poi a Palermo, dipendente di una microscopica banca e direttore sportivo della Athletic club Bacicalupo, un’altra squadra di calcio.

E qui che conosce, «erano tifosi, commerciavano in cavalli», Gaetano Cinà e Vittorio Mangano.

All’epoca due giovanotti del mandamento di Porta Nuova, quello del ferocissimo clan Inzerillo.

Nel 1996 sono tra i coimputati di Dell’Utri nel processo per associazione mafiosa.

Silvio e Marcello sembrano essersi persi di vista.

Anche fisicamente lontani, uno a Palermo, l’altro a Milano.

E qui succede come nei film.

La vulgata narra che «una mattina Dell’Utri senta squillare il telefono mentre alzava la serranda della banca.

“Pronto Marcello, ti ricordi di me?

Sono Silvio Berlusconi.

Senti, sono qui in rada, ho la barca pronta per salpare, ti va di venire su al nord a lavorare con me?».

Dell’Utri non se lo fa ripetere due volte, chiude tutto e raggiunge l’amico al porto di Palermo.

E’ il 1974.

Approda ad Arcore, alla villa San Martino, a seguire i lavori di ristrutturazione.

Dove, pochi mesi dopo, lo raggiunge Vittorio Mangano con il ruolo di stalliere e autista per i figli di Berlusconi.

Nel 1974 a Palermo Mangano è già noto come uomo d’onore: è passato dalla prigione tre volte per estorsione, minacciava le vittime inviando scatole con dentro teste di cane mozzate.

Non male per un angelo custode che doveva portare i bambini a scuola.

11- continua

domenica, settembre 27, 2009

Le foto che hanno fatto la Storia


AD UNA FOTO PASSATA ALLA STORIA

SE NE AGGIUNGE OGGI UN’ALTRA

CHE VI PASSERA’ AD IMPERITURO RICORDO PER I NOSTRI POSTERI

26 MARZO 1945

26 SETTEMBRE 2009

LA PRIMA

ci rammostra 5 soldati USA dei Marines Corps che piantano sulla cima del monte Suribachi dell’isola giapponese di IWO JIMA

la bandiera

“STELLE E STRISCE”

per rappresentare a tutto il mondo la conquista dell’ultimo baluardo dell’Asse, caduto il quale in mano degli alleati, ebbe a rappresentare, salvo qualche isolata resistenza, la fine della seconda guerra mondiale.

Infatti, l'isola di Iwo Jima era, con l'isola di Okinawa, di fondamentale importanza strategica poiché da qui i bombardieri pesanti statunitensi avrebbero potuto facilmente partire per le operazioni di bombardamento del Giappone.

Per tale motivo era presidiata e difesa da ben 25.000 uomini.

LA SECONDA


Franceschini riconquista la fonte del fiume PO, reintegrandola nel nostro antico territorio italiano dopo l’illegale esproprio effettuato da alcuni fuori-di-testa autonominatesi padani.

Peccato che, come tanti altri miei coetanei, non ci sarò più in quanto oramai cittadino dello spazio celeste dove tutti siamo, senza distinzioni di sorta, fratelli.

Processo DellUtri

PROCESSO IN GRADO D’APPELLO

nei confronti

di

MARCELLO DELL’UTRI

SENATORE DELLA REPUBBLICA

(condannato in primo grado a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa).

1

Secondo il Procuratore Generale della Corte d’Appello di Palermo, dr. Antonino Gatto,

«Vittorio Mangano fu assunto nella tenuta di Arcore di Silvio Berlusconi per coltivare interessi diversi da quelli per i quali fu ufficialmente chiamato da Palermo fino in Brianza».

E’ l’inizio della requisitoria del PG che entra subito, senza tentennamenti, nel vivo della suo atto d’accusa a sostegno della condanna inflitta in primo grado al senatore Marcello dell'Utri (Pdl).

Ieri, davanti alla seconda sezione della Corte di appello di Palermo, Gatto ha affrontato subito il tema dello

«stalliere di Arcore».

«Ma davvero - si è chiesto il Pg - non fu possibile trovare in Brianza persone capaci di sovrintendere alla tenuta di Arcore?

Davvero dall'estremo nord ci si dovette spostare a Palermo per trovare una persona che non conosceva la zona e le coltivazioni brianzole?

In realtà - ha proseguito Gatto - non solo Mangano di cavalli e di coltivazioni non sapeva nulla: ma se guardiamo i suoi numerosissimi precedenti penali, gli interessi che coltivava erano di tutt'altra natura rispetto a quelli agricoli».

In realtà, sostiene coerentemente il PG,

“Mangano era il simbolo vivente della tutela da parte di Cosa Nostra a Silvio Berlusconi”.

L’accusa prosegue rievocando in aula i rapporti che intercorrevano tra Dell’Utri e Cinà, confermati dalle testimonianze di molti collaboratori di giustizia e dalle intercettazioni telefoniche.

Tali rapporti risalivano ai tempi della squadra di calcio di Dell’Utri, la Bacigalupo, in cui giocava anche il figlio del mafioso Cinà.

Tramite quest’ultimo Dell’Utri conobbe Mangano e lo presentò a Berlusconi.

Nella primavera del 1975 avviene, sempre secondo la requisitoria del PG, l’incontro in Milano tra Stefano Bontade , reggente della famiglia di Santa Maria del Gesù, gli uomini d’onore Mimmo Teresi e Nino Grado da un lato e dall’altro Dell’Utri e Berlusconi.

Incontro questo comprovato da precise testimonianze rese dal pentito Francesco Di Carlo, credibilissimo secondo l’accusa.

Un ulteriore incontro sarebbe avvenuto presso il risporante”Le colline Postoiesi” tra Grado e Calderone, ai quali si aggiunsero in un secondo momento Dell’Utri e Mangano e quest’ultimo in quella occasione parlò del primo come il suo capo.

Dell’Utri poi ebbe a presenziare alle nozze del boss Jimmy Fauci .

Dato quanto sopra appaiono del tutto non credibili le giustificazioni addotte dal senatore in primo grado.

Soggiunge Gatto come l’insieme di questi episodi sono conformi allo stile proprio dei mafiosi.

E poi in aula smentisce la sua vicinanza alle cosche e la sua estraneità ai fatti contestatigli mentre fuori difende a tutto spiano Mangano.

La seconda parte della requisitoria avverrà il 9 ottobre prossimo.

Si parlerà del

“pizzo delle antenne”

Cioè del versamento da parte di Mediaset a Cosa Nostra per la messa in posa dei ripetitori nell’area palermitana .

Dell'Utri non era presente in aula.

Ad ascoltare l'atto d'accusa del pg ci sono i difensori dell'imputato, gli avvocati Nino Mormino, Giuseppe Di Peri e Pietro Federico.

segue